Accessibilità e soggettività nella legge Stanca
ebbè parlamme,
pecché si ragiunamme,
chisto fatto ‘n ce ‘o spiegamme
(Tammurriata nera)
Abstract
Questo articolo esamina dal punto di vista semantico la parola 'accessibilità', per come viene usata nella legge Stanca. In particolare, analizza le implicazioni dei significati soggettivi che la legge attribuisce al termine. Due conclusioni: la legge non perviene a una definizione chiara di 'accessibilità'; la legge non riguarda l'accessibilità dei siti.
Definizione
L’accessibilità, secondo la legge Stanca, è:
"la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari" (nota 1).
Non c’è alcun dubbio che, stando a questa definizione, l’accessibilità riguarda i “sistemi informatici” e lo stato delle “conoscenze tecnologiche” su cui sono basati. Se è chiaro e doveroso il riferimento allo stato dell’arte, per cui cambiando le conoscenze tecnologiche si dovrà adeguare l’accessibilità, è vago cosa significhi “sistemi informatici”.
Nello spirito dei promotori della legge Stanca (nota 2), l’accessibilità avrebbe dovuto riguardare soprattutto i siti web, mentre la legge estende l’applicazione del concetto di accessibilità all’informazione in generale e pone fin da subito un forte accento sui supporti tecnologici impiegati per veicolare l’informazione (nota 3). Il che potrebbe spiegare la scelta della formulazione “sistemi informatici”, che va benissimo per definire i software, ma non è molto appropriata a un sito web, che, per quanto sia stato costruito e sia visualizzato con dei software, è un oggetto di comunicazione, cioè un “sistema” piuttosto informativo che “informatico”.
Soggettività
La distinzione tra 'informativo' e 'informatico' è importante perché su un software si possono compiere valutazioni oggettive, mentre su un oggetto di comunicazione no, o – meglio – solo fino a un certo punto (il numero di pagine di un libro è misurabile, la sua – poniamo – comicità no, perché è un’opinione personale). Tanto è vero che il legislatore, dissimulando la forzatura, prevede due verifiche dell’accessibilità:
-
“verifica tecnica: valutazione condotta da esperti, anche con strumenti informatici, sulla base di parametri tecnici;
-
verifica soggettiva: valutazione articolata su più livelli di qualità ed effettuata con l’intervento del destinatario, anche disabile, dei servizi, sulla base di considerazioni empiriche” (nota 4).
Mi pare che queste due verifiche lascino intendere, secondo buon senso, che l’accessibilità del software è misurabile tecnicamente, oggettivamente, secondo 22 requisiti tecnici, mentre quella del sito è soggetta a interpretazione. Chi interpreta? In primo luogo i destinatari, ma è evidente che un cieco, un dislessico, un daltonico e un ipovedente faranno “considerazioni empiriche” diverse. In secondo luogo i “valutatori” (nota 5), cioè degli esperti che iscritti a un albo apposito (torneremo su questo aspetto). Occupiamoci dunque dei requisiti della “verifica soggettiva”, che sono i seguenti (cito testualmente: nota 6):
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percezione: le informazioni e i comandi necessari per l'esecuzione dell'attività devono essere sempre disponibili e percettibili;
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comprensibilità: le informazioni e i comandi necessari per l'esecuzione delle attività devono essere facili da capire e da usare;
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operabilità: informazioni e comandi sono tali da consentire una scelta immediata della azione adeguata per raggiungere l'obiettivo voluto;
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coerenza: stessi simboli, messaggi e azioni devono avere gli stessi significati in tutto l'ambiente;
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salvaguardia della salute: indica le caratteristiche che deve possedere l'ambiente per salvaguardare e promuovere il benessere psicofisico dell'utente;
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sicurezza: indica le caratteristiche che l'ambiente deve possedere per fornire transazioni e dati affidabili, gestiti con adeguati livelli di sicurezza;
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trasparenza: l'ambiente deve comunicare il suo stato e gli effetti delle azioni compiute. all'utente devono essere comunicate le necessarie informazioni per la corretta valutazione della dinamica dell'ambiente;
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apprendibilità: indica le caratteristiche che l'ambiente deve possedere per consentire l'apprendimento del suo utilizzo da parte dell'utente in tempi brevi e con minimo sforzo;
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aiuto e documentazione: fornire funzioni di aiuto come guide in linea e documentazione relative al funzionamento dell'ambiente. Le informazioni di aiuto devono essere facili da trovare e focalizzate sul compito dell'utente;
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tolleranza agli errori: l'ambiente deve prevenire gli errori e, qualora questi accadano, devono essere forniti appropriati messaggi che indichino chiaramente il problema e le azioni necessarie per recuperarlo;
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gradevolezza: indica le caratteristiche che l'ambiente deve possedere per favorire e mantenere l'interesse dell'utente;
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flessibilità: l'ambiente deve tener conto delle preferenze individuali e dei contesti.
I requisiti di salvaguardia della salute, sicurezza e tolleranza agli errori mi pare che siano stati classificati a sproposito tra i requisiti “soggettivi”, perché (mi pare) riflettono soprattutto il modo in cui vengono realizzati i requisiti “tecnici”. I requisiti di comprensibilità, operabilità, trasparenza, apprendibilità, gradevolezza e flessibilità non sono in grado, proprio a causa della loro irriducibile soggettività, di definire l’accessibilità in modo univoco, cioè non possono impedire interpretazioni diverse – non dico arbitrarie o tendenziose – di cosa sia un sito accessibile. I requisiti di percezione, coerenza e aiuto e documentazione appaiono invece meno irriducibilmente soggettivi. Noi possiamo, cioè, misurare oggettivamente per esempio la coerenza, ma solo relativamente a un singolo sito. In altri termini, noi possiamo valutare se in un sito la coerenza è rispettata. Ciò, ovviamente, non significa che la coerenza abbia sempre lo stesso valore in tutti i siti, né che in un determinato sito vi sia un solo modo di realizzarla. Ma al di là di queste mie interpretazioni, i requisiti “soggettivi” negano per loro stessa definizione che la parola ‘accessibilità’ abbia un significato tecnico, cioè sia quel che la linguistica definisce un tecnicismo. I tecnicismi sono parole che hanno un significato univoco in un contesto particolare, di solito in un settore. Se una parola è un tecnicismo, il suo significato è indubbio: potrà essere spiegato a chi non lo capisce, ma non può essere interpretato. Nessuno, per esempio, sottoporrebbe il significato di ‘amnistia’ a una “verifica soggettiva”. Se ‘accessibilità’, applicata a un sito, non è un tecnicismo, come è stata usata nella legge?
La pubblicistica
Nella Relazione di accompagnamento alla Legge, illustrando l’articolo 2 della legge, il legislatore afferma:
"La norma contiene le definizioni di «accessibilità» e di «tecnologie assistive», assegnando a queste due espressioni il significato che è loro comunemente attribuito nella pubblicistica di settore" (nota 7).
La pubblicistica del settore è molto abbondante. Il testo fondamentale di riferimento per tutti è Web content Accessibility Guidelines (WCAG) (nota 8) prodotto dalla Web Accessibility Initiative (WAI), che è una sezione del World Wide Web Consortium (W3C), il consorzio diretto da Tim Berners-Lee che stabilisce gli standard di Internet. Secondo il WAI l'accessibilità è un concetto relativo, cioè può essere ottenuta con una qualità variabile, che si misura in tre "livelli" (il terzo è quello della massima eccellenza). Ciò significa che un sito accessibile al primo livello offre, rispetto a un sito accessibile al secondo o al terzo livello, un'accessibilità che può avere alcune tra le caratteristiche seguenti: è meno completa, meno comoda, meno comprensiva di tutti gli svantaggi e le disabilità che i navigatori possono avere. La verifica del livello di accessibilità si compie valutando quanto in profondità un sito rispetti le raccomandazioni che le WCAG associano a ciascuno degli obblighi di accessibilità. Nella ancora provvisoria versione 2.0 delle WCAG, i principi di accessibilità sono quattro (cito in inglese e offro una mia traduzione):
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content must be perceivable (il contenuto deve essere percepibile);
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Interface elements in the content must be operable (gli elementi dell’interfaccia relativi al contenuto devono funzionare);
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content and controls must be understandable (contenuto e comandi devono essere comprensibili);
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content must be robust enough to work with current and future technologies (il contenuto deve essere strutturato in modo da funzionare con la tecnologia attuale e da sopportare lo sviluppo tecnologico).
Tutte le raccomandazioni relative al primo, al secondo e al quarto principio riguardano aspetti tecnici, esecutivi, misurabili. Il terzo principio deve essere considerato a parte. Infatti, le raccomandazioni affinché un sito sia accessibile al primo e al secondo livello riguardano aspetti tecnici, esecutivi, misurabili. Invece, alcune raccomandazioni per conferire al sito il terzo livello di accessibilità riguardano l’organizzazione del testo e l’uso della lingua. Non potendo entrare nei dettagli, facciamo un solo esempio: le WCAG raccomandano, nella costruzione di una frase, di seguire l’ordine Soggetto-Verbo-Oggetto. Nella legge Stanca e nei documenti a essa collegati gli unici riferimenti all’organizzazione del testo e all’uso della lingua sono richiami generici alla brevità, alla chiarezza, alla semplicità (dare suggerimenti meno generici sulla chiarezza linguistica dei testi dell'amministrazione pubblica è lo scopo di un altro progetto della Funzione Pubblica, il Progetto Chiaro!, a cui la legge Stanca non fa esplicitamente cenno). Ma questo è un dettaglio sul quale potremmo sorvolare. Ciò che, invece, dobbiamo sottolineare è che la legge Stanca, rispetto alle WCAG:
- non tiene conto della distinzione in tre livelli dell'accessibilità;
- tiene conto di altri parametri soggettivi di valutazione.
In altri termini, la legge Stanca non sembra molto concorde con il concetto di accessibililtà che il WAI sta tentando di identificare. Evidentemente la Relazione di accompagnamento si riferisce ad altra “pubblicistica di settore”, la quale, evidentemente, non segue le WCAG 2.0 e nemmeno la versione corrente 1.0, dal momento che la concezione di accessibilità a cui si ispira ci appare nettamente più ampia.
Il Gruppo di Lavoro "Metodologia" della Segreteria Tecnico-Scientifica della Commissione ICT disabili ha prodotto un documento che fin dal titolo, Metodologia per la valutazione dell’accessibilità e dell’usabilità dei siti pubblici da parte delle categorie svantaggiate, fa capire che la legge ha accolto una concezione di accessibilità che si estende anche al concetto di usabilità, che la Metodologia intende, secondo la definizione della norma ISO 9241-11, come il grado di efficacia e di efficienza di un prodotto (cioè la facilità con la quale l’utente lo manipola). Come riconosce la stessa Metodologia, “il problema è che tutte queste norme non sono specifiche per il prodotto Web: esse riguardano la usabilità delle generiche interfacce uomo-sistema”. La Metodologia prosegue dunque appoggiandosi alle “esperienze fatte sul campo” dagli “esperti di usabilità”. Il padre fondatore riconosciuto a livello mondiale dell’usabilità applicata al web è l’ingegnere americano Jakob Nielsen (nota 9).
L’usabilità, così come è stata definita da Nielsen, è un sistema di suggerimenti e di parametri utili a testare il prototipo di un sito e ad analizzare un sito dopo che sia stato fatto. L’usabilità non è dunque molto utile in fase di progettazione, essendo una ‘metrica’ valida (e valida fino a un certo punto) per l’analisi (e se poi l’analisi dimostra che gli errori di progettazione sono tali da dover rifare tutto daccapo?). In definitiva, l’usabilità dei siti web, che non è una scienza, non fornisce allo stato attuale alcunché di utile alla definizione di un significato specialistico della parola ‘accessibilità’.
La Metodologia, pertanto, volendo andare oltre le WCAG (nota 10), e facendolo su basi poco definite (anche il concetto di "progettazione universale" è assai vago, applicato al web), giunge a conclusioni forzate, ben poco convincenti (nota 11), nelle quali la parola ‘accessibilità’ non viene usata con il significato comune (nota 12) né con un significato tecnico, bensì con un significato che si presta a molte e diverse interpretazioni. La legge Stanca era una buona occasione per riflettere a fondo, per dare o cercare di dare un fondamento non dico scientifico ma almeno comunicativo ed editoriale a concetti ancora generici come l'usabilità e l'accessibilità. La buona occasione è stata sprecata: si è preferito allinearsi ai luoghi comuni ed evitare il confronto globale (le WCAG 2.0 sono sì una bozza, ma sono on line da quattro anni, cioè da prima dell'inizio della legislatura: insomma, leggere e partecipare alla loro evoluzione non solo non è vietato, ma non costa nulla. E poi non ci sono solo le WCAG).
La legge
Soluzioni bell’e pronte non ce n’è, sia chiaro, ma bisogna discutere, perché la scienza non si definisce per legge. E infatti, la legge non riguarda l’accessibilità dei siti. A questa conclusione è già giunto per altre strade Lorenzo Spallino (nota 13), che ha mostrato che la legge riguarda solo i contratti che eventualmente un’amministrazione pubblica stipulerà per fare, rifare o aggiornare il sito. Noi, a questo punto, possiamo limitare ulteriormente: interpretata alla lettera e, come è doveroso, dal punto di vista semantico (nota 14), la legge riguarda solo i contratti stipulati per la realizzazione o l’affitto dei software utilizzati per fare, rifare o aggiornare un sito, perché sono gli unici ai quali è applicabile la parola ‘accessibilità’ in senso tecnico.
Stando così le cose, si potrebbe eliminare dalla legge tutto ciò che non riguarda gli aspetti non oggettivamente misurabili di un sito e definire l’accessibilità per quel tanto che essa può essere definita al momento: un aspetto tecnico della costruzione di un oggetto di comunicazione, che come tale è fatto di tante altre cose che tecniche non sono. Di queste può occuparsi una legge? No, ma parrebbe di sì, a giudicare dall’istituzione di “valutatori”, cioè “soggetti iscritti nell’apposito elenco e qualificati a certificare le caratteristiche di accessibilità dei servizi” (nota 15). Se sarà effettivamente così, prepariamoci a castigare chi commetterà errori di grammatica, questi sì valutabili oggettivamente e in grado di rendere ‘inaccessibile’ un sito modificando il senso delle parole.
E a proposito di grammatica (e di tecnologie assistive) (e anche di capacità di mettersi nei panni dell’utente), a nessuno è mai venuto in mente che un sito tecnicamente accessibile, se viene visitato con un sintetizzatore vocale, può essere compreso anche da un bambino in età prescolare, da un analfabeta, da uno straniero che ha una competenza passiva dell’italiano? Se questi destinatari fossero stati esplicitati accanto ai disabili, lo spirito della legge di ottemperare “al principio di uguaglianza ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione” sarebbe stato perseguito meglio, e si sarebbe potuto riflettere, con uno sguardo meno compiaciuto alle iniziative pro-disabili nell’anno a loro dedicato (appunto il 2003), sui mutamenti cognitivi più profondi collegati alle nuove tecnologie dell'informazione.