Capire il Codice dell'amministrazione digitale e cosa accadrà nelle PA
Sintesi dell'intervento a Il codice dell'amministrazione digitale: le tecnologie al servizio del cittadino e della pubblica amministrazione, Villa Cordellina Lombardi, Montecchio Maggiore (VI), 24 novembre 2006 [brochure].
Indice
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Qualche nota in tema di diritto amministrativo e di amministrazione pubblica
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Qualche nota in tema di principi e criteri dell'azione pubblica
1 - Perché il Codice dell'amministrazione digitale
Se vogliamo tentare di tracciare un affresco sull'impatto del Codice sulla vita delle amministrazioni, e in particolare delle amministrazioni locali, non possiamo non partire da lontano, chiedendoci da dove arriva l'intervento del legislatore. Nessuna legge è, o almeno dovrebbe essere, quello che Leibniz chiamava una monade, elemento indifferente al contesto cui pure appartiene. Nel nostro caso, il Codice è la risposta, devo dire rapida, se si considerano i normali tempi di reazione della macchina amministrativa, agli sconvolgimenti che l'era della digitalizzazione ha portato. Non è tanto la questione tecnica (potenza degli elaboratori, nuovi programmi, diffusa alfabetizzazione informatica) che ha scompaginato gli assetti consolidati delle amministrazioni pubbliche, quanto le tematiche connesse ad internet ad aver reso evidente che il consolidato approccio verso gli utenti da parte delle amministrazioni pubbliche non era più possibile nel terzo millennio e che a un approccio verticale era necessario sostituire in approccio orizzontale, di ^rete^, già individuabile in nuce nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 settembre 1995, che parlava di Rete unitaria della pubblica amministrazione. Come ci ricorda uno dei commentatori del processo di riforma della pubblica amministrazione
digitalizzare la Pubblica Amministrazione non significa, infatti, applicare meccanicamente l'informatica alle diverse procedure di lavoro, così come si sono codificate nel tempo, ma - al contrario - comporta modifiche profonde alle procedure stesse, e consente anche di offrire servizi nuovi, altrimenti impensabili […] Si tratta di opportunità del tutto inedite, che richiedono l'attivazione, all'interno dell'amministrazione, di procedure che prima non esistevano (P. Subioli).
Senza addentrarci nelle tematiche relative alla reingegnerizzazione dei processi della pubblica amministrazione [nota 1], la cosa curiosa, almeno per chi si occupa di diritto amministrativo, è che le medesime espressioni (rete, orizzontalità, efficienza) si ritrovano nei commenti alle grandi riforme che hanno caratterizzato il diritto amministrativo a partire dalla metà degli anni ottanta sino alle recenti modifiche alla Carta Costituzionale. Casualità o meno, sta di fatto che l'approccio del legislatore italiano alle nuove frontiere dell'innovazione tecnologica può essere così riassunto:
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una fase iniziale, per così dire pionieristica, dove tra i primi anni ‘90 e il 2000 la risposta del legislatore è stata caratterizzata dall'occorrenza: procedure relative alla prestazione di servizi e beni informatici, primi abbozzi di tutela della privacy, interconnessione dei dati disponibili presso le pubbliche amministrazioni;
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una fase intermedia, rappresentata dal testo unico sulla documentazione amministrativa del 2000, caratterizzata non tanto dalla unicità dell'approccio ma dalla unicità del contenitore;
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una terza fase, più compiuta, frutto dell'intuizione contenuta nell'articolo 10 della legge di semplificazione del 2001, secondo cui era necessario il coordinamento e il riassetto delle disposizioni in materia di “società dell'informazione”, espressione che ben esprime l'approccio inclusivo al tema.
Quest'ultima fase è ben rappresentata dal Codice dell'amministrazione digitale, che tuttavia soltanto con la seconda versione del Codice, a poco più di un anno dalla sua uscita, il sistema mostra di puntare con decisione verso un approccio organico, integrando il Sistema pubblico di connettività e rete internazionale della pubblica amministrazione, già oggetto del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 42.
2 - Qualche nota in tema di diritto amministrativo e di amministrazione pubblica
Per tracciare un quadro ragionevolmente coerente del Codice dobbiamo affermare un lessico condiviso. Ricapitoliamo quindi per comune memoria e sommi capi, cos'è il diritto amministrativo e cos'è una amministrazione pubblica:
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il diritto amministrativo è la disciplina giuridica dell'attività e dell'organizzazione delle pubblica amministrazione;
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lo sviluppo della scienza di diritto amministrativo ha accompagnato la creazione e/o il rafforzamento degli Stati nazionali: per questo il diritto amministrativo è così importante e per questo il tentativo di ^privatizzarlo^ crea sconcerto in una parte della dottrina;
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la nozione di diritto amministrativo è strettamente correlata ad un determinato tipo di Stato: il diritto amministrativo come lo conosciamo, (divisione dei poteri, principio di legalità dell'azione amministrativa) si intravede in Francia attorno al 1500, esplode con la Rivoluzione francese ma da noi può dirsi nato sullo scheletro della legislazione amministrativa piemontese, cui le altre legislazioni allora esistenti si uniformarono;
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il nostro ordinamento non conosce una definizione legislativa di amministrazione pubblica: la più conosciuta è quella contenuta nel Testo unico del pubblico impiego, che tuttavia non comprende gli enti pubblici economici per ragioni che qui è inutile spiegare; basti in ogni caso sapere che quella del T.u. del pubblico impiego è la definizione cui ricorre il Codice della p.a. digitale per definire la platea dei soggetti cui il Codice, salvo specificazioni, si applica (articolo 2).
3 - Qualche nota in tema di principi e criteri dell'azione pubblica
Per il Codice efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione sono obiettivi; queste espressioni corrispondono ad istituti che il diritto amministrativo ha codificato ben prima del Codice dell'amministrazione digitale. I principi fondanti dell'azione amministrativa si ritrovano nella Carta Costituzionale e possono identificarsi:
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nel principio di responsabilità, affermato dall'articolo 28 della Costituzione, con cui la figura del responsabile del procedimento, ha poco o nulla a che vedere, trattandosi di una esigenza di trasparenza e di identificabilità di un contraddittore all'interno della pubblica amministrazione da parte del cittadino, nel segno del superamento della impersonalità dell'apparato amministrativo;
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nel principio di legalità, da intendersi nella triplice espressione di non contraddittorietà dell'atto amministrativo rispetto alla legge, conformità formale e conformità sostanziale, ricavabile dalle disposizioni della Costituzione che prevedono una riserva di legge (articoli 13, 23, 41, 51, 52), anche se non necessariamente coincide con questa;
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nel principio di tipicità degli atti amministrativi: se l'amministrazione può esercitare i soli poteri autoritativi attribuiti dalla legge, essa può emanare soltanto i provvedimenti previsti;
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nel principio di imparzialità, dettato dall'articolo 97 della Costituzione in uno con il principio di buon andamento dell'azione amministrativa;
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nei, più recenti, principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, da alcuni ravvisabili sin dall'articolo 5 della Costituzione (che parla di decentramento), da altri, più correttamente, sacralizzati nella nuova formulazione dell'articolo 118 della Costituzione ma, soprattutto, nell'articolo 3, comma 5, del t.u. degli enti locali.
A questi (principi), si accompagnano i criteri di:
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efficacia, ossia la capacità di una singola azione amministrativa di raggiungere il risultato pratico prestabilito;
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efficienza, ossia l'attitudine di una organizzazione a svolger adeguatamente i suoi compiti nel modo più adeguato, con riferimento alle esigenze dell'utenza;
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pubblicità e trasparenza, che – per inciso – proprio il Codice dell'amministrazione digitale vorrebbe esaltare.
4 - Verso un'amministrazione di risultati
Perché i tre criteri citati sono importanti, e perché lo sono dal punto di vista del Codice? Perché è facendo leva su questi che è stato avviato il complesso cammino da un'amministrazione formale, valutata principalmente su parametri di legalità, ad un'amministrazione di risultati, che viene cioè valutata per quello che produce in termini di soddisfazione degli interessi e dei bisogni dei cittadini, delle famiglie, delle imprese, insomma della società amministrata (v. articolo 63). Ciò che rileva è che il passaggio modifica la concezione stessa della legittimità dell'azione amministrativa, anche quanto alle regole che ne costituiscono il contenuto: come hanno sostenuto alcuni autorevoli commentatori (Cerulli Irelli, 2002) la legittimità perde valore in sé, per diventare essa stessa strumento di buona amministrazione. Il passaggio ad un'amministrazione di risultati, dove non c'è più spazio per un'illegittimità meramente formale richiede un'azione concentrica, a tutto campo, che si fondi su nuovi approcci customer-oriented, riformando il processo di emanazione di provvedimenti (ossia il procedimento) dal suo interno, rinnovando i valori cui gli attori debbono ispirarsi. In quest'ottica il Codice dell'amministrazione digitale promette molto e a costo zero (almeno così dice il legislatore).
5 - La strategia del Codice
Esaminiamo il Codice dal punto di vista delle strategie che esso adotta per pervenire all'obiettivo di inclusione sancito dalla legge delega. Come abbiamo detto, esso da un lato è espressione della volontà di addivenire ad una amministrazione di risultati, più che di procedure, dall'altro è espressione della volontà di valorizzare gli strumenti digitali per la disponibilità, gestione, accesso, trasmissione, conservazione e fruizione delle informazioni (articoli 3 e 12 del Codice). Sotto questo profilo il Codice ha insieme un pregio e un difetto: il pregio è quello di ricorrere ad un concetto di trasparenza che ha rilevanza non solo perché ciò che è nascosto risulta (spesso, non sempre) non conforme all'ordinamento, ma anche perché intuisce che il disvalore sta nella non intelligibilità o non accessibilità di ciò che pure sia perfettamente legittimo (E. Casetta, 2005). Il difetto è la palpabile tensione che il principio del buon andamento crea tra l'efficientismo che esso evoca (pensiamo alle quote di recupero del sommerso stimato che il Ministero assegna ogni anno agli uffici distrettuale delle imposte dirette) e il quadro generale di legalità dell'azione amministrativa. Detto questo, molto semplificando il Codice ci dice:
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l'obiettivo è quello di assicurare a qualsiasi livello (Stato, Regioni, autonomie locali) la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale (articolo 2);
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le strategie sono quelle della riorganizzazione ed aggiornamento dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni sviluppando a tal fine l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese, anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di soddisfazione degli utenti attraverso cui raggiungere l'obiettivo (articolo 7).
Il che conferma l'assunto che le tecnologie sono mezzi e non scopi (U.Galimberti, 1999). Fatta chiarezza – e la cosa sembra importante perché se non si collocano le nuove metodologie nell'alveo dell'azione amministrativa diventa difficile a questo punto gestire le istanze che chiunque si senta autorizzato ad avanzare in forza del dettato letterale del Codice quando parla di ^diritti^ - possiamo dire che
a) il Codice può dirsi strutturato secondo questo schema:
I capi VI (sviluppo, acquisizione e riuso dei sistemi informatici) e VII (Regole tecniche) sono di minore importanza
b) il Codice può dirsi organizzato strategicamente secondo questo schema:
[da P. Subioli, La svolta del documento informatico, 6 febbraio 2006, in Cronache dell'e-government]
Al centro il documento informatico, variamente declinato attraverso:
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firma digitale (versione hard rispetto all'altra modalità di sottoscrizione contemplata dal Codice, ossia la “firma elettronica”), che consente l'inequivocabile attribuzione della paternità degli atti;
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protocollo informatico, che permette di assegnare agli atti o ai documenti loro un posto preciso all'interno dei database delle p.a., tracciandone ogni movimento;
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PEC, che consente di trasferire il tutto con modalità certe;
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archiviazione digitale, che permette di conservare la documentazione prodotta.
A questo quadro si aggiunge, con le modifiche del modifiche introdotte dal D.Lgs. 4 aprile 2006, il Sistema pubblico di Connettività, già oggetto del D.lgs. 28.2.2005, n. 42, oggi abrogato.
6) Gli scenari futuribili del Codice
L'emanazione del Codice ha suscitato impressioni contrastanti presso gli osservatori e presso la dottrina giuridica. Da un lato, coloro che ne hanno accolto positivamente l'uscita, considerandolo un importante atto di riordino della materia. Dall'altro lato, chi, e non sono pochi, si è mostrato alquanto scettico sulla effettiva portata innovativa del decreto. Wikipedia (voce Codice dell'Amministrazione Digitale) così riassume le critiche al Codice:
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il Codice conterrebbe numerose enunciazioni di principio, spesso piuttosto solenni, senza accompagnarle però con disposizioni operative che ne consentano la concreta attuazione;
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il Codice avrebbe scorporato un assetto normativo che già era organico: la disciplina del documento informatico, secondo tale opinione, trovava, infatti, la propria sede naturale nel "testo unico sulla documentazione amministrativa" (DPR 445/2000), dove l'atto elettronico era disciplinato contestualmente all'atto cartaceo in un regime di perfetta alternatività tra i due supporti;
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con il Codice sarebbe degenerato l'intento iniziale di usare l'informatica come strumento per la semplificazione amministrativa, facendo diventare la digitalizzazione un fine a sé stante, sottovalutando i rischi di un passaggio non sufficientemente graduale dal cartaceo all'elettronico, primo fra tutti l'acuirsi del digital divide fra cittadini dotati di confidenza con lo strumento informatico, e cittadini che per ragioni sociali o anagrafiche hanno difficoltà a rapportarsi telematicamente con l'amministrazione.
Le seconda e la terza sono osservazioni metagiuridiche: possiamo condividerle o meno ma ai fini che ci interessano hanno poca importanza, mentre il punto rilevante è il primo. Qui arriviamo a parlare di scenari che, semplificando, possiamo dipingere come uno dominato dall'elemento complessità, l'altro dalla semplificazione.
7) Il primo scenario: la complessità
Come avvocato sono costretto a leggere i testi legislativi nell'ottica chi-cosa-come-quando e a interrogarmi sugli esiti del mancato rispetto di uno di questi elementi. Purtroppo il Codice offre molti spunti di riflessione sotto questo profilo. O, meglio, non li offrirebbe se non utilizzasse ampiamente l'espressione diritti. Il Codice parla infatti di Diritto all'uso delle tecnologie (articolo 3), Diritto all'accesso e all'invio di documenti digitali (articolo 4), Diritto ad effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale (articolo 5), Diritto a ricevere qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail (articolo 6), Diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione (articolo 7), Diritto alla partecipazione (articolo 8), Diritto a trovare on-line tutti i moduli e i formulari validi e aggiornati (articolo 58). Questa tecnica di scrittura – come a suo tempo evidenziato - può apparire ingenua: utilizzare la parola diritto non significa infatti creare un diritto, ossia
una facoltà, giuridicamente tutelata, di operare proprie scelte
e soprattutto
di esigere che altri mettano in atto o si astengano da un determinato comportamento (De Mauro).
Non a caso, infatti, nel parere reso il 7 febbraio 2005, il Consiglio di Stato, pur dichiarando di condividere molte delle finalità enunciate nel Codice, non si è potuto trattenere dal segnalare come proprio gli articoli da 3 a 13 destino "qualche perplessità" [nota 2] . Un primo passo verso la riduzione di un simile scenario è stata attuata con le modifiche al Codice attuate con il Decreto legislativo 4 aprile 2006: la tutela del diritto all'uso delle tecnologie di cui all'articolo 3 è stata, infatti, attribuita alla competenza esclusiva del Giudice Amministrativo (T.A.R.). Segnale importante della volontà del legislatore di ricondurre il Codice all'interno dell'alveo istituzionale del diritto amministrativo e (forse) indicatore non piccolo della lettura di tali ^diritti^ come ^interessi legittimi^ da parte del legislatore stesso. Ecco quindi un primo scenario futuribile, delineato dalla complessità delle situazioni che si verranno a creare, in non piccola parte rappresentato da un incremento della conflittualità a livello giudiziario (penso alle applicazioni del Codice in materia di gare pubbliche).
8) Il secondo scenario: la semplificazione
Paradossalmente, ma non troppo, il secondo scenario può invece dirsi caratterizzato dalla semplificazione: parlo ovviamente della semplificazione oggettiva del rapporto con la pubblica amministrazione - con quanto ne consegue in termini di misurazione del livello di soddisfazione degli utenti [nota 3] - sia attraverso interfacce user friendly sia attraverso una più generale semplificazione dell'approccio linguistico, non della semplificazione procedimentale, discorso di tutt'altra stoffa. Sotto questo aspetto il Codice contiene disposizioni decisamente avanzate, quantomeno in prospettiva. Parlo:
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della formazione degli originali dei documenti con mezzi informatici, ossia in forma digitale (articolo 40);
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della gestione dei procedimenti amministrativi utilizzando “le tecnologie dell'informazione e della comunicazione” (articolo 41) (confesso di non conoscere quali siano le tecnologie della comunicazione ma mi fa molto piacere non leggere l'espressione tecnologie informatiche);
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della dematerializzazione dei documenti delle pubbliche amministrazioni (articolo 42);
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ma – soprattutto – della possibilità di trasmettere i documenti (non solo i documenti nati informatici, ma qualsiasi documento) “con qualsiasi mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza”, senza che la loro trasmissione debba essere seguita da quella del documento originale (articolo 45).
Si tratta di norme che preannunciano una enorme facilitazione nel rapporto con le pubbliche amministrazioni e una diminuzione considerevole di costi ^umani^ derivanti dalla esplosione delle procedure amministrative che caratterizza questi ultimi anni, a dispetto della semplificazione legislativa invocata da più parti. Le facilitazioni evocate rischiano però di essere subito soffocate se non si comprende che l'evoluzione delle forme di interazione-comunicazione sta nella semplicità dell'utilizzo, come i successi di Skype e Google insegnano. In tal senso mi ha fatto piacere leggere, proprio in questi giorni le parole del sottosegretario al Ministero per l'Innovazione e le Riforme nella Pubblica Amministrazione con delega all'innovazione, il quale ha parlato del rischio di “tecnologizzare la burocrazia”. Pare di ascoltare, a distanza di quindici anni, le parole di Ted Nelson, quando, lamentando la complessità caratterizzante i sistemi informatici fin dalla loro nascita, metteva in discussione in particolare la struttura gerarchica imposta dagli schemi mentali di altri: i tecnici del settore informatico, diceva:
non cercano la semplicità, ma anzi spesso i loro programmi portano difficoltà su difficoltà.
Non è un problema banale, ammoniva, perché una semplificazione dell'accesso informatico può portare ad una vera e propria nuova cultura della partecipazione. Lo Stato è pronto per questo? Nelson parlava dei tecnici del settore informatico ma noi potremmo agevolmente sostituire la parola ^settore informatico^ con ^settore legislativo^ o, ancor peggio, ^settore legislativo-informatico^ senza che le cose cambino, come insegna la proprietà commutativa. Insomma: Codice e semplificazione delle modalità di interazione vanno di pari passo. Le promesse del primo saranno rispettate solo se le seconde verranno attuate. E il problema, temo, è tutto culturale.
Conclusioni
Sono in molti, oggi, a parlare di riforma della pubblica amministrazione, di burocratizzazione, di privatizzazione, di sussidiarietà, di privatizzazione dell'azione pubblica: sono in pochi a ricordare che i processi di riforma d'oggi sono gli epigoni di quelli avviati a partire dagli anni ottanta, ispirati dall'esigenza di ricercare – in attesa di un non facile e non immediato ripristino della legalità - i rimedi più idonei per far fronte di una situazione non più tollerabile che vedeva i partiti politici ^addomesticare^ a loro uso e consumo l'apparato dirigenziale pubblico (E. Caretta, 2005). La direzione in cui i processi di riforma si sono mossi è stata duplice:
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da un lato introdurre una sempre più marcata divisione tra atti d'indirizzo politico e atti di gestione, in particolare negli enti locali;
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dall'altro attuare i principi costituzionali in materia di azione amministrativa (efficienza, legittimità, responsabilità e quant'altro).
Il Codice dell'amministrazione digitale si colloca nel secondo solco. Le potenzialità che ci mostra sono straordinarie, come straordinaria è la novità dell'approccio amministrazione-cittadini che esso presuppone: agli operatori va il compito di fare in modo che il Codice liberi tutte le sue potenzialità unendo i benefici delle ^buone tecnologie^ con i ^buoni principi^ dell'azione amministrativa. Rinnegare i secondi a favore dei primi sulla scorta di una percezione dell'amministrazione pubblica come un ^problema da risolvere^ impedirebbe anche ai primi di esplicarsi correttamente: con buona pace di chi ha riposto e ripone nel Codice le più ampie speranze di attuazione del principio fondamentale di eguaglianza tra i cittadini.
Note al testo
Nota 1:
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V. La reingegnerizzazione dei processi nella pubblica amministrazione - Inquadramento e sintesi della metodologia, Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, Roma, giugno 1998.
Nota 2:
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Vuoi perché affermano diritti non azionabili (articolo 3), vuoi perché si limitano a dichiarazioni di intenti e mancano di precettività (articolo 8), vuoi perché sembrano comportare l'esigenza di copertura finanziaria per poter trovare effettiva attuazione (articoli 5, 6 e 7) oppure perché, come l'articolo 5, "stante la loro natura ordinatoria" nulla aggiungono alla disposizione cui fanno riferimento.