La tecnologia? È un diritto
Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2006 su Punto Informatico, con il titolo La tecnologia? È un diritto
Gennaio 2006: entra in vigore il Codice dell'Amministrazione Digitale
Anno nuovo, vita nuova. Il primo gennaio di quest'anno è entrato in vigore il Codice dell'Amministrazione digitale, approvato con decreto legislativo 80/2005. Il Codice punta a facilitare e stimolare "l'utilizzo delle nuove tecnologie all'interno della Pubblica amministrazione italiana e nei suoi rapporti con i cittadini e le imprese, come pure nelle relazioni tra privati" e lo fa usando espressamente l'espressione diritti del cittadino. Si parla infatti di Diritto all'uso delle tecnologie (art. 3), Diritto all'accesso e all'invio di documenti digitali (art. 4), Diritto ad effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale (art. 5), Diritto a ricevere qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail (art. 6), Diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione (art. 7), Diritto alla partecipazione (art. 8), Diritto a trovare on-line tutti i moduli e i formulari validi e aggiornati (art. 58).
I diritti del Codice
Questa tecnica di scrittura può apparire ingenua: utilizzare la parola diritto non significa infatti creare un diritto, ossia una "facoltà, giuridicamente tutelata, di operare proprie scelte" e soprattutto "di esigere che altri mettano in atto o si astengano da un determinato comportamento" (De Mauro). Non a caso, infatti, nel parere reso il 7 febbraio 2005, il Consiglio di Stato, pur dichiarando di condividere molte delle finalità enunciate nel Codice, non si è potuto trattenere dal segnalare come proprio gli articoli da 3 a 13 destino "qualche perplessità": vuoi perché affermano diritti non azionabili (art. 3), vuoi perché si limitano a dichiarazioni di intenti e mancano di precettività (art. 8), vuoi perché sembrano comportare l'esigenza di copertura finanziaria per poter trovare effettiva attuazione (artt. 5, 6 e 7) oppure perché, come l'articolo 5, "stante la loro natura ordinatoria" nulla aggiungono alla disposizione cui fanno riferimento.
Diritti senza tutela e diritti tutelati
In altre parole: molte delle disposizioni del Codice rischiano di rimanere lettera morta per l'assenza di disposizioni puntuali su come e a chi si debba rivolgere il cittadino per l'ipotesi, tutt'altro che remota, in cui la pubblica amministrazione non dia spontanea attuazione al Codice. Secondo le modifiche al Codice annunciate per il giugno 2006, la tutela del diritto all'uso delle tecnologie di cui all'art. 3, verrà attribuita alla competenza esclusiva del Giudice Amministrativo: se così fosse, cosa succederà nell'ipotesi in cui io scriva ad una pubblica amministrazione utilizzando la posta elettronica e questa non mi risponda o mi risponda per posta cartacea? e se non trovo l'indirizzo sul sito? Vediamo di fare un po' ordine: anzitutto, parliamo di posta elettronica ordinaria, non di posta elettronica certificata (PEC). La prima rientra nell'ambito, molto vasto, del diritto all'uso delle tecnologie telematiche (articolo 3), la seconda è quella, dai contorni ambigui, di cui parlano gli articoli 6 e 48, per l'ipotesi in cui si tratti di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una di consegna.
Ma la Pubblica Amministrazione è obbligata a rispondere ad una mail?
Il punto che più interessa il cittadino comune è questo: una Amministrazione pubblica è sempre obbligata a rispondere ad una mia e mail? La risposta è: no. Non si può infatti prescindere dai principi fondamentali in materia, i quali ci dicono che la risposta dell'Amministrazione sarà necessitata soltanto nell'ipotesi in cui il cittadino utilizzi la posta elettronica per esercitare un proprio diritto già esistente e riconosciuto dall'ordinamento. Per fare un esempio: posso anche scrivere al Ministero della Pubblica Istruzione chiedendo di conoscere quando verrà emanato un bando per l'assunzione di nuovi dipendenti del Ministero, ma non ho alcun diritto ad una risposta, e quindi neppure ad una risposta via e-mail. Diverso è il caso in cui il Ministero mi chieda di fornirgli una indicazione a corredo di una mia istanza di partecipazione al bando: in questo caso, è mio diritto rispondere per email. E se l'Amministrazione ignora la mia e-mail o se sul sito dell'Amministrazione non è indicata una casella di posta elettronica? Nonostante l'articolo 54 del Codice preveda che i siti delle pubbliche amministrazioni centrali contengano "l'elenco completo delle caselle di posta elettronica istituzionali attive, specificando anche se si tratta di una casella di posta elettronica certificata", l'articolo 47 assegna ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del codice (ossia il primo gennaio 2007) perché le pubbliche amministrazioni centrali provvedano a istituire "almeno una casella di posta elettronica istituzionale ed una casella di posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, per ciascun registro di protocollo". Sino ad allora, dunque, se l'Amministrazione (per ora centrale, in futuro anche gli enti locali) non ha una casella istituzionale, nulla da fare. Se invece ha una casella, ma non risponde, il silenzio dell'amministrazione dovrà essere censurato nei modi ordinari, ossia facendone dichiarare, senza necessità di previa diffida, l'illegittimità dal T.A.R. territorialmente competente (articolo 21bis legge 6.12.1971, n. 1034; articolo 2, quinto comma, legge 7.8.1990, n. 241). E se invece la casella c'è ma non la trovo? Qui bisognerebbe chiedere ad un veggente, non ad un avvocato: come si applica, infatti, l'obbligo stabilito dall'articolo 53 del Codice secondo cui "le pubbliche amministrazioni centrali realizzano siti istituzionali su reti telematiche che rispettano i principi di accessibilità, nonché di elevata usabilità e reperibilità, anche da parte delle persone disabili, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità di consultazione, qualità, omogeneità ed interoperabilità"?