George Landow e la mappa ragionata
Landow e l’ipertesto
George Landow, professore di Letteratura e Arte Inglese alla Brown University, era molto in voga negli anni Novanta per le sue riflessioni sull’ipertesto, fondate su sperimentazioni per la società Eastgate e su siti costruiti insieme ai suoi studenti [nota 1]. Successivamente, almeno in italia, la sua notorietà è diminuita parecchio. A questo calo di interesse nei suoi confronti hanno contribuito diversi fattori. In primo luogo, la constatazione (che chiunque può fare anche ora) che tra quel che scriveva e quel che faceva c’era una bella differenza, tutta a vantaggio di quel che scriveva. In secondo luogo, la scarsa rappresentatività dei suoi argomenti (storia della letteratura inglese, monografie su scrittori o periodi storici). In terzo luogo, il declino del concetto di ipertesto. In verità, a contribuire a questo declino avevano già provveduto gli umanisti in genere, che si erano innamorati dell’ipertesto in quanto frantumava la linearità della scrittura e della lettura e appariva dunque come una nuova frontiera. Ma si trattava di sperimentazioni (si vedano i vari - illeggibili a mio parere - romanzi di Mark America ecc.) o di esercitazioni di semiotica su un oggetto di osservazione indiscutibilmente nuovo, che spostarono su una strada diversa (a mio parere del tutto improduttiva, perché astratta) la riflessione. Con l’inizio del nuovo secolo, a proposito di siti, la parola ipertesto venne pressoché abbandonata. Tuttavia, un sito è un ipertesto. Anzi, Internet stesso lo è. Lo è soprattutto se valorizziamo il senso più profondo di ipertesto, cioè la qualità delle relazioni tra le pagine. Landow ragionava intorno a come gestire queste relazioni in modo da fornire una navigabilità agevole e produttiva tra un numero pressoché infinito di contenuti. L’argomento mi pare non abbia perduto un granello di attualità, anche perché non è che gli standard del W3C, nonché l’usabilità (intesa alla Nielsen e seguaci), abbiano contribuito granché a sviluppare una metodologia su come collegare i contenuti in un oggetto di comunicazione quale un sito è. Un contributo più utile lo fornisce l’approccio biblioteconomico (adattato al web da Rosenfeld e Morville), che insiste sull’importanza della classificazione [nota 2]. Tuttavia, per quanto utile al progettista, questo approccio non è necessariamente adatto al navigatore, anche perché non riguarda la relazione tra i contenuti in un sistema di comunicazione, bensì la loro relazione in un sistema disciplinato di catalogazione.
Progettazione e selezione
Landow aveva individuato due problemi fondamentali. Il primo, che i browser in commercio non compivano automaticamente la selezione e la visualizzazione delle pagine collegate a quella corrente. Il secondo, che il numero di pagine collegate poteva essere eccessivo. Al primo problema cercò di rimediare progettando un software di gestione degli ipertesti (Intermedia) che aveva due finestre dedicate una alla Global Tracking Map (che “forniva informazioni grafiche su tutti i collegamenti e i documenti”) e l’altra alla Local Tracking Map, che è quella che ci interessa maggiormente, perché seleziona automaticamente solo i documenti collegati a quello corrente (in una versione successiva, chiamata Web View, visualizzava anche il titolo delle pagine aperte precedentemente, cioè il percorso svolto dal navigatore). Attualmente nessuno dei browser in commercio è in grado di svolgere questa funzione. Vi sono invece alcuni motori di ricerca che operano in questo modo, per esempio WebBrain e Google, che da poco tempo indaga anche i file memorizzati nel computer del navigatore (tuttavia, dei motori non ci occupiamo in questo articolo).
Il collegamento tra i contenuti è dunque un lavoro che deve svolgere il progettista. Se il progettista lavora senza un database e senza un sistema automatico di pubblicazione (cioè se lavora, come si dice, ‘manualmente’):
-
fa molta fatica a individuare le pagine collegate se il sito si compone di molte pagine (diciamo più di duecento);
-
ottiene ottimi risultati nella selezione di un numero non eccessivo di pagine collegate.
Se, invece, il progettista lavora con un database e un sistema automatico di pubblicazione:
-
gestisce più facilmente i contenuti; ma
-
potrebbe non riuscire a gestirne al meglio la selezione.
Quest’ultimo punto è – lo diceva già Landow – delicatissimo, perché il senso dell’offerta di collegamenti a pagine utili è, infatti, di ridurre i problemi di orientamento che il navigatore avrebbe se dovesse da se stesso trovarle. È ragionevole pensare che presentare al navigatore più di una decina di collegamenti è inutile, se non dannoso. E non vi è dubbio che la selezione compiuta automaticamente pone dei rischi, perché pre-stabilire un buon criterio di filtraggio è molto difficile.
La mappa ragionata
Nell’evoluzione del web, le cose sono andate diversamente
da come le avrebbe progettate Landow, e dunque tocca al progettista comporre
(più o meno manualmente) l’elenco delle pagine collegate. Il che
significa anche che deve dedicare a questo scopo uno spazio in ogni
pagina (nel sistema di Landow la finestra era generata dal browser
ed era manipolabile, spostabile dal navigatore). Questo spazio, nei non molti
siti italiani che lo usano, trova posto generalmente nella corsia verticale
destra (più raramente lo troviamo orizzontale in basso, dopo il testo).
Personalmente, ho proposto di nominare questo spazio la ‘mappa ragionata’
[nota 3], cioè in modo diverso da come
lo chiama Landow (nella traduzione di Viviana Musumeci suona “Mappa locale
di percorso”). La denominazione di Landow come le altre che si trovano
impiegate nei vari siti (“Approfondimenti”, “Link correlati”, “Dall’archivio”, “Vedi
anche” ecc.) ha il limite di essere vincolata al contenuto specifico del
progetto, cioè non è sufficientemente astratta per definire quello
spazio da un punto di vista editoriale. Inoltre, ‘mappa ragionata’
sfugge al concetto (di derivazione topografica) di ‘mappa’ intesa
come visualizzazione statica della struttura del sito, cioè, in buona
sostanza, come indice generale dei contenuti e della loro disposizione (classificazione
e gerarchia). Mappe così concepite servono all’orientamento, cioè
alla ricerca di un dato documento che, navigando, non si riesce a trovare. In
altri termini, le mappe statiche sono una via d’uscita (per il navigatore
ma soprattutto per il progettista) ai limiti di chiarezza di un sito. Con ‘mappa
ragionata’ il concetto di mappa viene svincolato dall’orientamento
statico, che è piuttosto una forma di spaesamento, e collegato alla
navigazione in avanti, cioè verso nuovi documenti, dei
quali la mappa ragionata fornisce, appunto, una selezione ... ragionata. Se
dietro questa mappa c’è un ragionamento, e se dietro il ragionamento
c’è una persona, la navigazione avviene tra persone e non tra una
persona (il navigatore) e un sistema di documenti. In tal modo mi pare che la
navigazione recuperi una dimensione interattiva non banale, in quanto salda
l’esigenza informativa del navigatore con la capacità del progettista
di selezionare alcune poche utili pagine tra le infinite ‘risorse’
del web.
Note al testo
Nota 1:
-
Cito per tutti il libro L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, a c. di Paolo Ferri, traduzione di Viviana Musumeci, Milano, Bruno Mondadori, 1998. A questo libro mi riferisco in questo articolo
Nota 2:
-
Di Jakob Nielsen ricordo Web usability, Milano, Apogeo, 2000. Di Louis Rosenfeld e Peter Morville si veda la seconda edizione del sopravvalutato Information Architecture for the World Wide Web, O’Reilly, Sebastopol CA, 2002 (trad. it. Hops libri).
Nota 3:
-
Ho usato questo termine per la prima volta nel 2003, nell’articolo Alcune riflessioni sul concetto di pertinenza informativa nei siti web (http://www.italianoscritto.com/interventi/testi/pertinenza.htm ). Per tutte le implicazioni progettuali della mappa ragionata rimando al mio libro Progettare e scrivere per Internet (Milano, McGraw-Hill, 2005), in particolare al capitolo 4 (si può leggere la Premessa in questo stesso sito.